Luciano Pezzolo

Government Debts and Trust. French Kings and Roman Popes as Borrowers, 1520-1660

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Abstract

Partendo dalla ampia discussione sull'influenza delle istituzioni nello sviluppo economico, l'articolo si propone di analizzare il rapporto fra assetto istituzionale e costi di indebitamento in due monarchie della prima età moderna: lo Stato pontificio e la Francia. Sin dal basso medioevo il Papato si era servito di banchieri che fornivano prestiti a breve termine; ma tra Quattro e Cinquecento vennero introdotti nuovi meccanismi di finanziamento, che portarono alla formazione di un vero e proprio debito consolidato con caratteri "moderni". Dapprima gli uffici venali e successivamente i luoghi di Monte diffusero la possibilità di investimento nel debito statale. Ciò fu dovuto alla credibilità che il governo pontificio godette tra i potenziali sottoscrittori; credibilità che si basava su elementi quali il puntuale pagamento degli interessi, il ruolo dei banchieri come intermediari e, soprattutto, la natura sovranazionale del Papato. La doppia funzione del Papa - sovrano di uno Stato territoriale e massima autorità del mondo cattolico - comportava che la finanza pontificia godesse di flussi fiscali provenienti sia dai contribuenti dello Stato che dalle diverse diocesi sottoposte alla Santa Sede. Nonostante i re di Francia potessero sfruttare ampie risorse finanziarie, essi dovettero far fronte a notevoli costi per trovare denaro a prestito. La Corona, infatti, aveva un significativo potere discrezionale nei confronti dei creditori, e questo rendeva il re un debitore poco affidabile. La scarsa affidabilità costringeva il governo, pressato dalle necessità finanziarie, a pagare elevati tassi di interesse. Il confronto tra le due monarchie si basa sull'analisi dei tassi di interesse, sia "pubblici" che "privati", che vengono proposti come un utile indicatore della efficienza delle istituzioni finanziarie.

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